Roma. L’Acquedotto Alessandrino, una passeggiata nella storia romana

Camminare nella storia può avere come fil rouge anche un acquedotto romano. Un filo rosso che non è un filo di Arianna. Quello serviva a non perdersi in un ingarbugliato labirinto. L’acquedotto ha il pregio di seguire invece un percorso assolutamente lineare. Gli ingegneri romani erano straordinari nel costruire questi condotti che servivano a rifornire Roma del bene primario dell’acqua. Non c’era ostacolo che li fermasse, collina che non potesse essere bucata, valle che non potesse essere sorvolata da un viadotto. 

L’Acquedotto nel Parco Palatucci

Ancora oggi, trascorsi duemila anni, gli archi degli acquedotti caratterizzano ancora in modo pittoresco i paesaggi della campagna romana. Questa facile e originale camminata accompagna, passo dopo passo, l’acquedotto Alessandrino (Aqua Alexandrina), costruito nel terzo secolo dall’imperatore Alessandro Severo. Fu l’ultimo dei grandi acquedotti dell’antica Roma. Serviva a rifornire d’acqua le terme di Nerone, situate in pieno centro a Roma, dove oggi è Palazzo Madama, la sede del Senato. 

L’Acquedotto nel Parco Sangalli

Il condotto era lungo circa 22 chilometri e procedeva spesso sottoterra. Noi ci limiteremo a seguirne i due tratti urbani meglio conservati. Sono due brevi e istruttive passeggiate, assolutamente facili, in quartieri popolari, occasione per rileggere la storia antica e recente di Roma e della sua gente.

Da Pantano Borghese a Tor Tre Teste (Parco Palatucci)

L’acquedotto captava l’acqua in località ‘Pantano dei Grifi’ (oggi Pantano Borghese). Era quella una vasta zona acquitrinosa e di risorgive, alle falde dei Colli Albani e dei Monti Prenestini, compresa tra le vie Prenestina e Casilina, utilizzata come latifondo pascolativo. Ne facevano parte il cratere di Castiglione e il Pantano, corrispondente all’antico Lago Regillo. Ancora nel Cinquecento capterà lì le sue acque anche l’acquedotto dell’Acqua Felice. 

L’Acquedotto a Pantano Borghese

Tutte queste aree saranno nei secoli progressivamente prosciugate, bonificate e trasformate in moderne tenute agricole e zootecniche. Le acque saranno canalizzate nel Fosso dell’Osa, affluente del fiume Aniene. Tracce dell’acquedotto resistono nella Tenuta privata di Pantano Borghese. La condotta d’acqua attraversa invisibile la campagna romana e riaffiora a Torre Angela, un quartiere di Roma a ridosso del Raccordo Anulare. 

Gli archi dell’acquedotto tra le case di Torre Angela (Borgata Arcacci)

Gli archi dell’acquedotto sono stati inglobati dall’edilizia spontanea, tanto da ispirare anche il nome di ‘Borgata Arcacci’.  Gli ‘arcacci’ affiorano a tratti lungo via Alberobello, via Maglie, via Cisternino e a lato di un deposito di auto. Sorvoliamo, per pudore, sui modi di utilizzo degli archi. Il Grande Raccordo Anulare taglia in due l’acquedotto, rendendone visibile il moncone amputato superstite. 

L’acquedotto ‘amputato’ dal Grande Raccordo Anulare di Roma

Ripresa la loro identità, gli archi attraversano la Tenuta agricola della Mistica, superano la via Walter Tobagi e la via Tor Tre Teste e raggiungono il Parco Palatucci. 

Dal Parco Palatucci a Centocelle

Qui ha inizio la nostra passeggiata. Un percorso double face. Tutto nel verde, almeno il primo tratto. L’acquedotto è la spina dorsale di un parco amato e frequentato dalla gente del vicino quartiere di Tor Tre Teste. Poi il paesaggio cambia decisamente. L’Acquedotto si infila tra due muri di case in uno dei quartieri di Roma a maggiore densità abitativa. Guardare l’Acquedotto è qui tutt’altro che monotono. Lui procede imperterrito lineare e sempre alla stessa quota. Valica fossi e dossi inalberandosi o tuffandosi tra le onde del paesaggio romano. 

L’Acquedotto nel Parco Palatucci a Tor Tre Teste

Arriva al Parco Palatucci un po’ sbrindellato ma acquista subito dignità. Entra ed esce dal terreno, s’innalza timidamente con i suoi archi bassi, procede a filo di terra e quasi invita a guardarsi intorno. E ha ragione. Questo Parco è stato dedicato a Giovanni Palatucci, medaglia d’oro al merito civile per aver salvato ebrei dalla persecuzione nazista. L’edificio di maggior richiamo è la splendida Chiesa delle Vele, progettata per il Giubileo del 2000 dall’architetto Richard Meyer. La chiesa merita la breve deviazione e una visita accurata. 

L’interno della Chiesa delle Vele

Il Parco attrae bambini, famigliole, anziani, runners e bykers che ne frequentano il parco giochi, il laghetto, i campi sportivi, la biblioteca Gianni Rodari, i sinuosi sentieri e le stradine interne. Un bel posto. Ripreso il filo dell’acquedotto lo vediamo interrarsi per un breve tratto nella parte alta del parco, accanto a un rudere recintato, per poi uscirne trionfale nella depressione dove è stata realizzata la Piazza dell’Acquedotto Alessandrino. Due grandi arcate isolate sono festeggiate da una bella fontana a schizzi d’acqua, dalla sede del comitato di quartiere e da una perfetta agorà

La piazza dell’Acquedotto Alessandrino

Seguiamo ora la via degli Olmi. L’acquedotto procede a fil di terra e si rassegna per un po’ a funzionare da parcheggio e malinconica aiuola spartitraffico. Ma ha subito l’occasione per rifarsi. Dopo una cappellina ricavata in una cavità, le sue arcate s’innalzano di nuovo maestose per varcare con un imponente viadotto il Fosso di Centocelle (un tempo percorso da un torrente, oggi intubato) e la trafficata via Palmiro Togliatti. 

Il viadotto dell’Acquedotto supera la Via Togliatti e il Fosso di Centocelle

La strada cambia nome e diventa via dei Pioppi. In questo tratto si può osservare da vicino la genialità degli ingegneri idraulici e degli architetti romani. Per costruire questo acquedotto, che fu l’ultimo della serie, furono utilizzate tecniche innovatrici per le arcate, completamente realizzate in laterizio, un materiale leggero ed al tempo stesso resistente. Archiviate così le arcate realizzate con massicci blocchi di pietra squadrati e sovrapposti, fu possibile seguire un percorso più rettilineo rispetto agli acquedotti preesistenti, riuscendo a tagliare le valli con una alternanza di gallerie e viadotti. 

La sezione interna dell’arcata

Nei tratti di arcate scomposte si può anche osservare l’uso del conglomerato interno sul quale erano poggiati i mattoni e i ‘tufelli’, sino ad arrivare al cunicolo superiore dove passava l’acqua. Al termine della via dei Pioppi, raggiunta la chiesa e la piazza di San Felice di Cantalice, l’acquedotto torna sottoterra e diventa invisibile. Termina qui la prima passeggiata.

Via dell’Acquedotto Alessandrino e il Parco Sangalli

Ritroviamo l’acquedotto nella strada che porta il suo nome, via dell’Acquedotto Alessandrino. È la nostra passeggiata più bella. L’acquedotto è onorato e valorizzato da un quadro urbanistico adeguato. 

L’Acquedotto allo sbocco di via di Torpignattara

Ma non è sempre stato così. Agli inizi del Novecento questa era una zona di estesi vigneti, le Vigne Alessandrine. Vennero poi gli anni della massiccia immigrazione e dell’edilizia spontanea. Le baracche furono addossate proprio all’acquedotto, sfruttandone gli archi. Casupole senza servizi, costruite in economia, in cui vivevano nuclei familiari numerosi in condizioni igieniche malsane. 

Il Parco Sangalli

Il “borghetto Alessandrino” fu abbattuto progressivamente negli anni Settanta. Con i tempi dell’intervento pubblico vennero poi il risanamento, la riqualificazione, il restauro dell’acquedotto, il progetto “CentoPiazze”, la creazione del Parco verde dedicato a Giordano Sangalli. Oggi le arcate dell’acquedotto dominano un’oasi di verde, alla cui manutenzione collabora l’iniziativa spontanea degli abitanti delle strade vicine. 

La Madonna della Capannuccia

Del borghetto sopravvivono alcune casette e una cappellina (la “Madonna della Capannuccia”) costruita all’inizio del tratto emerso dell’acquedotto. Il parco è uno sfogo per i quartieri vicini, che hanno nomi noti anche al di fuori di Roma: Torpignattara, la Marranella, l’Acqua Bullicante, il Quarticciolo, il Quadraro, Centocelle, Gordiani. L’acquedotto attraversa con i suoi archi il parco Sangalli e torna sotterraneo in via Aicardi. Non lo vedremo più.

Autogestione del verde a via Aicardi

Le Terme di Nerone e di Alessandro Severo

Al termine del loro percorso, le aquae alexandrinae arrivavano a Porta Maggiore, dove venivano depurate nel limarium, il bacino di decantazione per la purificazione delle acque. E solo dopo raggiungevano finalmente le centralissime Terme di Nerone per la gioia della corte dell’imperatore Alessandro Severo. La giusta soddisfazione imperiale portò anche un cambio di nome. Le terme, già ‘neroniane’, divennero ‘alessandrine’. Di queste Terme, a quasi due millenni di distanza, sono rimaste solo mappe medievali e cocci di scavi archeologici. Ma dopo aver tanto camminato, se ci siamo affezionati a questo acquedotto, possiamo almeno ammirarne qualche ricordo. 

Le colonne delle Terme Alessandrine a via di Sant’Eustachio

Due alte colonne di granito, provenienti dalle Terme, sono state rialzate e svettano ora in via di Sant’Eustachio.  E una grande vasca di granito, utilizzata nel calidarium delle Terme, fa bella figura accanto a Palazzo Madama, la sede del Senato all’incrocio di via degli Staderari con via della Dogana vecchia e piazza Sant’Eustachio.

La vasca del calidarium delle Terme trasformata in fontana del Senato

(La ricognizione del percorso è stata effettuata nel mese di aprile 2021)

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