I cavalli di Enrico Pandone nel castello di Venafro

Dove può arrivare l’amore per i cavalli? L’ippòfilo più famoso è naturalmente Caligola. Il suo cavallo Incitatus fu nominato console e sacerdote. Mangiava alla stessa tavola dell’imperatore e si nutriva di fiocchi d’avena, frutti di mare e pollo. Ma forse si tratta solo di una fake news di storici prevenuti. E che dire allora di Bucefalo, il cavallo preferito di Alessandro Magno. Quando il cavallo morì, il sovrano macedone fondò in suo onore la città di Alessandria Bucefala (oggi Jalalpur, presso Gujrat, nel Punjab).

Però, consentite, il campione mondiale dell’ippofilia si chiama Enrico Pandone. Aveva ereditato dal padre un castello a Venafro, in Molise. Allevava cavalli. E tra il 1522 e il 1527 fece affrescare ogni ambiente del piano nobile con le immagini dei suoi cavalli, gli stalloni delle scuderie reali. Niente scene sacre o storie mitologiche, affrescate dai grandi pittori del tempo. Solo cavalli. A grandezza naturale. E non si accontentò di vederli solo fedelmente riprodotti. Li volle a rilievo d’intonaco e poi dipinti. E affidò l’incarico a una famosa bottega artigiana napoletana. Una sala è dedicata ai cavalli da passeggio e un’altra ai cavalli da guerra.

Ogni esemplare presenta il monogramma del conte Enrico, una H circoscritta, il morso illusionistico del cavallo, appeso a un chiodo, e una didascalia contenente il nome del cavallo, la razza, l’età e i destinatari, per lo più nobili napoletani come i Caracciolo e i Pignatelli. Quest’ultimo dettaglio rivela la fitta rete di relazioni politiche del conte. Di particolare rilievo è il cavallo (“lo liardo san giorge”) regalato all’imperatore Carlo V. Enrico trascorse la sua giovinezza a Napoli nel contesto vivace e internazionale della corte aragonese, dove ricevette la sua formazione culturale, oltreché l’addestramento all’uso delle armi e del cavallo. Nel Regno di Napoli si andava, infatti, consolidando una tradizione equestre che avrebbe costituito un punto di riferimento per tutte le corti europee. Il ciclo di cavalli costituisce un complesso programma iconografico in cui egli affida ai suoi cavalli la rappresentazione del proprio rango nobiliare e cavalleresco e delle sue relazioni politiche e sociali.

Il Castello ha mantenuto il nome di Pandone. E i suoi cavalli hanno resistito ai tentativi della famiglia Lennoy che gli subentrò nella proprietà e volle ridecorare il castello, cercando di cancellare la memoria della famiglia Pandone, ormai decaduta.

E noi oggi – a distanza di cinque secoli – possiamo aggirarci tra le sale del Castello Pandone di Venafro e stupirci ancora per l’esibizione dei campioni del mondo equino. Questo Castello è stato costruito su di un’originaria muratura sannitica alla quale si sovrappose successivamente una fortificazione romana. In epoca longobarda, inoltre, intorno al X secolo, fu costruito, sempre nello stesso complesso, un recinto quadrangolare con diverse torri delle quali la più visibile è sul lato nord dell’attuale castello. La fortezza gradualmente si trasformò in un’elegante residenza rinascimentale con la realizzazione di un ampio loggiato e di un giardino all’italiana proprio grazie a Enrico Pandone.

Al secondo piano il Castello ospita il Museo Nazionale del Molise, che conta su opere pittoriche tra età paleocristiana ed età moderna.  Sono esposte le più importanti testimonianze pittoriche molisane, dalle più antiche (Isernia, Roccaravindola, Matrice) a quelle dei pittori molisani operanti a Napoli o giunte in Molise dalla capitale del Regno di Napoli, durante il Seicento e il Settecento.

Il Castello Pandone di Venafro

(Ho visitato il Castello Pandone a Venafro il 20 luglio 2021)

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