La transumanza sulla via Salaria da Amatrice a Roma

La via Salaria è la ‘via del sale’. La costruirono i romani, utilizzando un precedente tracciato, per trasportare il sale dalle saline del Tirreno al mare Adriatico. Nella sua storia secolare, prima dell’avvento della motorizzazione di massa, questa via consolare è stata utilizzata anche come ‘tratturo’ di transumanza dai monti della Laga alla Campagna Romana e viceversa. Per gli allevatori e proprietari di greggi della conca di Amatrice la destinazione romana risultava più conveniente sia in termini di durata del viaggio (sette giorni, in media), sia in termini economici (affitto dei pascoli nell’agro romano, nella piana pontina e nella maremma laziale) rispetto alla tradizionale transumanza nei più lontani pascoli invernali del Tavoliere di Puglia. La frequentazione dei pascoli romani portò molti armentari di Amatrice ad acquistare terreni e masserie dalla nobiltà romana e dagli enti ecclesiastici e a sviluppare a Roma una imprenditorialità diffusa nel settore del commercio alimentare, della ristorazione e dell’edilizia.

Mario Ciaralli ha recentemente pubblicato i risultati di una sua ampia e capillare ricerca sulla diffusione della pastorizia e sulle famiglie di armentari nel territorio di Amatrice. Ne riproduciamo una gustosa pagina che narra il percorso dei pastori sulla Via Salaria. 

Nei primi giorni di ottobre, lasciati i monti e le valli sopra Cardito, che già iniziavano a mutare di mille colori, la lunga carovana di pecore in cammino, superato l’abitato di Amatrice, risaliva dopo poche centinaia di metri la ripida mulattiera di ‘Costa Sergiata’, ai piedi della chiesina della Croce, per poi raggiungere poco distante la via ‘Romanella’, la sola strada, che fino agli inizi del Novecento, collegava la via Salaria alla cittadina. E man mano che ci si allontanava dalle abitazioni, i pastori ridavano ‘voce’ ai campani dei manzieri, tappati poco prima con dei ciuffi d’erba nei pressi dell’ospedale in segno di rispetto al passaggio del gregge. Giunti sulla strada e imboccata la via Consolare al valico di Torrita, i nostri nonni, alla testa della numerosa masseria, mesti s’incamminavano verso la ‘piana’ di Cittareale e più avanti lungo le strette gole del Velino di Sigillo e Antrodoco, fino agli abitati di Canetra e Cotilia, per poi raggiungere nelle vicinanze la pianura reatina. Qui, nei pressi di Santa Rufina, in località ‘Cardito Roselli’, abbandonata momentaneamente la via Salaria, un breve tratturello consentiva di accorciare il percorso verso la capitale, evitando così anche il passaggio entro il capoluogo Sabino. Ancora una breve sosta, un rapido controllo ai basti dei muli e ai carri colmi di tutto il necessario, poi, lasciata alle spalle la cittadina di Rieti e superato più avanti anche l’abitato di San Giovanni Reatino, l’interminabile fila di pecore, giunte oramai alla metà del viaggio, si apprestava a raggiungere la profonda valle dell’Ornaro e tutti quei borghi della bassa Sabina che si affacciavano lungo la strada. Ed ogni qual volta si doveva attraversare un piccolo centro abitato, lungo tutto il percorso dal monte al piano, mille occhi occorrevano ai pastori per evitare che qualche ‘buongustaio’ locale, approfittando di vicoli e buie stradine, si ‘affezionasse’ troppo a qualche pecorella e volerla tenere tutta per sé. Raccontano infatti gli ultimi protagonisti di questi interminabili viaggi a piedi, che non sempre si riusciva a scongiurare qualche ‘perdita’ lungo la via. Giunti infine dopo alcuni giorni dove il paesaggio si faceva ampio e comodo, il percorso per raggiungere gli stazzi e i villaggi di capanne era ancora alquanto distante ma già all’orizzonte appariva in lontananza la sconfinata pianura tutt’intorno la Città. A quel punto del viaggio la sosta tanto attesa prima di giungere a Roma era un’osteria lungo la strada in località ‘Ponte del Grillo’. In questa locanda sul ciglio della via Salaria e finalmente nel mezzo della pianura, i pastori avevano l’abitudine di sostare per una breve pausa e un meritato ristoro dopo giorni in cammino; poi, riassettata ogni cosa, di nuovo in marcia verso l’ultimo tratto. Per i più fortunati con i pascoli nei pressi dell’osteria tra Monterotondo, Settebagni e Fidene il viaggio era appena terminato. Altre masserie, lasciata la Consolare nei pressi della locanda, si immettevano sulla poco distante via Tiberina per poi raggiungere i vicini territori di Fiano Romano, Nazzano e Filacciano; altre ancora proseguivano fino a Castelnuovo di Porto, Riano e Capena. In quel tratto della via Salaria era agevole anche immettersi lungo la via Nomentana e la Tiburtina, dove in località Settecamini una famiglia armentizia di Amatrice aveva vasti appezzamenti terrieri e importanti masserie. Pertanto, nelle prime settimane di ottobre, molti proprietari di greggi avevano già occupato la campagna a settentrione della capitale. L’altra metà dell’interminabile fiumana di pecore s’incamminava fino alle porte di Roma per poi raggiungere la piatta campagna sull’Aurelia in località Castel di Guido, Maccarese, Santa Severa ed altre ancora. Nel frattempo, le restanti masserie, attraversata Roma, da Porta Capena proseguivano lungo la via Appia e più avanti nelle paludi pontine fino a Cisterna. Giunti di nuovo nei “procoj” e negli stazzi lasciati appena qualche mese prima, un lungo inverno di giorni tutti uguali attendeva ora i pastori.

Il terremoto del 2016 che ha distrutto Amatrice non ha spento l’iniziativa dell’associazionismo locale per la valorizzazione delle radici storiche, del pastoralismo, dell’escursionismo e del turismo. Ne sono testimonianza le annuali iniziative del Coordinamento Transumanza, il bel sito web AmatriceTransumanza.it, la pagina Facebook, la Mappa di Comunità, le pubblicazioni storiche collegate e la Casa della Montagna del Cai.

Lascia un commento